Nel 1950 nasce la computer art grazie alla sperimentazione dell’americano Ben Laposky e del tedesco Manfred Fank, due matematici e programmatori, non artisti ma dotati di una spiccata sensibilità per l’arte con una attenzione particolare alla grafica. Essi si espressero in forma digitale per mezzo del computer e attraverso software, ispirandosi al costruttivismo e al razionalismo del Bauhaus e dando vita ad una nuova forma d’arte elaborata in maniera libera ed in forma digitale.
Nel corso degli anni il mondo dell’arte digitale ha fatto notevoli progressi ottenendo una sua collocazione ed una sua nicchia di mercato; in
Italia, invece, diversamente dagli altri paesi, solo recentemente ha iniziato il suo cammino.
Le opere dell’arte digitale vengono realizzate partendo da una fotografia o da un semplice disegno scannerizzato, successivamente elaborati per mezzo di programmi di fotoritocco o vettoriali, ridisegnando al monitor con l’uso del mouse o di una tavoletta grafica, usando una svariata quantità di pennelli elettronici con colori coprenti e trasparenti, con l’uso di filtri, producendo grafismi e neografismi che compongono immagini i cui effetti non sono ottenibili attraverso i convenzionali strumenti grafici e pittorici. Le immagini così elaborate, modificate anche per mezzo di ingrandimenti, riduzioni, sovrapposizioni e alterazioni prospettiche, hanno alla fine del percorso di digitalizzazione poco a che vedere con quelle di partenza.
Pur utilizzando l’esperienza della “graphic design”, la digital art se ne discosta per gli scopi differenti e per la libertà di esecuzione, poiché il suo obiettivo non è la realizzazione di elaborati per l’editoria o per la grafica pubblicitaria, pur usufruendo degli stessi mezzi di base.
L’arte ottenuta in modalità digitale si sviluppa in particolar modo negli anni Ottanta e nasce da una interazione tra l’uomo e le nuove opportunità tecnologiche fornite dall’uso del computer e dei software che consentono l’esecuzione di opere d’arte, visive, architettoniche, letterarie, musicali, partendo dall’idea che l’uomo non sia solo l’unico artefice dell’opera.
Seguendo il percorso di sviluppo dell’arte digitale, si giunge alla “digital painting”, pittura digitale, disciplina alla quale appartengono
opere che presentano superfici dipinte formate non esclusivamente da linee di disegno e non genericamente colorate, che seguano un determinato stile e che utilizzano un’interfaccia che collega l’artista ad una piattaforma hardware e software con lo scopo di sviluppare un’opera tangibile con lo stesso aspetto della pittura ad olio o acrilica, dell’inchiostro, dell’acquerello o altra tecnica tradizionale, ma in versione digitale.
Quest’arte visiva, che utilizza nuovi strumenti simili alle tecniche pittoriche, consente di raggiungere una resa creativa che gli strumenti
tradizionali non potrebbero ottenere, innescando un nuovo percorso visivo tutto da scoprire che introdurrà l’uomo in nuove osservazioni del mondo
immaginario e reale.
L’opera composta e costruita al video resta nelle sue fasi creative un’immagine virtuale che va concretizzata attraverso una fase di
calibrazione e codificazione per poterla rendere disponibile al meglio per la fase di stampa, cosa non semplice per le difficoltà di cromatismo e di fedeltà che si incontrano passando dal video ad un qualsivoglia supporto, procedure oggi in atto anche per la fotografia digitale. Dal 1980 per poter rendere tangibile quanto realizzato al monitor sono state utilizzate stampanti a getto d’inchiostro, tuttavia inizialmente l’uso di queste macchine mostrava una insoddisfacente fedeltà cromatica con poca attinenza tra l’immagine a video e la stampa ottenuta. Molto è stato fatto nel campo tecnologico, anche in un tempo piuttosto breve, per migliorare i risultati di una buona riproduzione con colori fedeli al monitor ed esteticamente gradevoli e brillanti come si addice ad un’opera d’arte.
Nel 1991 Jack Duganne, stampatore d’arte eclettico, molto esperto delle tecniche grafiche canoniche che spaziava dalla xilografia alla litografia,
avendo compreso l’importanza delle nuove frontiere della riproducibilità inventò il sistema di stampante che egli definì “Giclée”, da allora
associata alla stampa d’arte. In breve, il giclée è diventato sinonimo di stampa di alta qualità grazie all’utilizzo di un sistema di getto di
inchiostro molto diverso dalle comuni stampanti. Il termine giclèe indicava lo “spruzzo” che la macchina produceva per la stesura dell’inchiostro. Da allora questa tecnica si è affiancata alle precedenti più conosciute come la xilografia, la calcografia, la litografia, la serigrafia, qui riportate nell’ordine cronologico della loro evoluzione e dette anche originali. Il giclée grazie alla sua alta qualità si è imposto tra i nuovi tesori del mondo dell’arte, preferito per la sua fedeltà, brillantezza cromatica, omogeneità di stesura e durevolezza dei colori nel tempo, entrando così a far parte delle opere esposte in gallerie d’arte, mostre e musei.
Ciononostante, la digital art deve ancora guadagnare consensi più ampi e la considerazione di forma d’arte al pari di quelle ormai storicizzate come il disegno e la pittura, superando pregiudizi legati all’erronea convinzione che ad operare sia la macchina e non l’uomo. È possibile ed auspicabile che l’accettazione unanime del valore dell’arte digitale, che apre nuovi orizzonti all’arte visiva, cresca nei prossimi anni dando a questa espressione artistica valore e considerazione pari alle altre tecniche storiche.